Il Fascino del Male – Parte tre

Ho scritto questi articoli nel 2014, in occasione di un incontro organizzato presso l’Università di Parma a proposito del Grottesco assieme agli autori Giuseppe Pasquali e Valerio Marcello Pelligra. Gli stessi articoli sono stati poi pubblicati in forma più accessibile sul sito MedeaOnLine. Qui li ripropongo in versione integrale.

  • Nella prima parte, “La filosofia del Male”, ho definito il Male in senso metafisico basandomi sulle definizioni che la filosofia, fin dagli albori, ha coniato per tentare di esprimerne il concetto.
  • Nella seconda parte, “Il fascino del Male”, a partire dalla definizione di Male a cui si è giunti nella prima parte, cercando di dare una risposta al perché la figura del malvagio affascina, spesso, più di quella dell’eroe che gli si oppone.
  • In questa terza e ultima parte, “Il Male nel fantastico, da Mr. Hyde a Pinhead”, analizzo quattro emblematiche figure di Malvagio nelle loro peculiarità, a riprova di quanto affermo nelle due parti precedenti.

Il Male nel fantastico, da Mr Hyde a Pinhead.

Il Male nascosto: Mr Hyde

«È dunque da attribuirsi più all’esigente natura delle mie aspirazioni che a una mia speciale degradazione, il motivo per cui si separarono in me, con un solco più profondo, le regioni del bene e del male che dividono e compongono ad un tempo la duplice natura dell’uomo.»

 Dottor Jekyll (Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde)

Ogni uomo nasconde un mostro dentro di sé, per questo il male ci disgusta e ci spaventa, ma inevitabilmente ci affascina. È l’Hyde che vive nel profondo delle nostre menti ciò che s’agita e sorride malefico di fronte a un atto di violenza. L’eco di questa risata non arriva alla coscienza, ma si trasforma in adrenalina ed è ciò che ci impedisce di smettere di guardare una scena cruenta, di leggere un passaggio violento, d’osservare con curiosità morbosa lo scempio della carne altrui.

Sono state l’educazione e la morale che abbiamo ricevuto e alla quale ci siamo adattati, assieme alle regole della civiltà in cui viviamo, a reprimere il nostro istinto primordiale che ci spinge verso il male. Represso, per l’appunto, ma mai eliminato.

Il dottor Jekyll, stimato medico della moralissima società vittoriana che ha consacrato a Ippocrate e agli ammalati la sua intera vita, elucubrando sulla psiche umana e confrontandola con la propria condotta conclude che l’uomo non è uno solo essere, ma due esseri che si dilaniano di continuo. Da qui la sofferta decisione di indagare questa sua parte nascosta, di permetterle di uscire allo scoperto e vivere di vita autonoma, convinto di poterne mantenere il controllo.

La droga che sviluppa trasmuta il suo corpo nel suo alter-ego: Mr Hyde. Calpestatore di bambine, aggressore e infine omicida, eppure l’immagine allo specchio di quest’uomo basso e tozzo, dal volto ripugnante e così diverso dal suo, fin da subito non lo spaventa: è il Male fatto uomo ma si riconosce, è sempre lui, e alla fine cede alle sue lusinghe.

La divisione netta tra Jekyll e Hyde è influenzata soprattutto dallo stile di vita del dottore, che rigido e integerrimo come fu prima della trasformazione non seppe dare abbastanza sfogo alla sua parte maligna che quindi, non appena liberata, esplose furente e rabbiosa come una belva sciolta dopo anni di catena.

«Morirà Hyde sulla forca? O troverà all’ultimo momento il coraggio di uccidersi? Lo sa Dio: a me è indifferente. Questa è la vera ora della mia morte, e quel che seguirà riguarda un altro, non me. Ecco dunque: nell’atto di deporre la penna e di sigillare la mia confessione, io metto fine alla vita di questo infelice Henry Jekyll.»

Il Male incosciente: Alex DeLarge

«Eccomi là. Cioè Alex e i miei tre drughi. Cioè Pit, Georgie e Dim. Eravamo seduti nel Korova milkbar arrovellandoci il gulliver per sapere cosa fare della serata. Il Korova milkbar vende “latte+”, cioè diciamo latte rinforzato con qualche droguccia mescalina, che è quel che stavamo bevendo. È roba che ti fa robusto e disposto all’esercizio dell’amata ultraviolenza.»

Alexander DeLarge (Arancia Meccanica, film)

Con Hyde s’è discusso il ruolo che rivestono l’etica e la società nella repressione della parte mostruosa dell’uomo, e ciò che accade quando l’equilibrio dell’animo viene rotto e il mostro prende il sopravvento. L’eccessivo moralismo vittoriano gioca un ruolo importante nell’opera di Stevenson, reprimendo l’istinto malvagio (ma pur sempre umano) di Jekyll fino alle estreme conseguenze.

Il futuro distopico di Burgess si colloca all’estremo opposto: un mondo governato da inetti e corrotti in cui bande di ragazzi fuori controllo si prendono gioco di ogni legge. Alex cresce in questo contesto urbano degradato ma non ne è vittima, è anzi carnefice. È proprio lui a narraci, in prima persona, crimini e delitti ai quali si dedica praticando la tanto cara Ultraviolenza assieme alla gang di cui è leader. Egli racconta stupri di gruppo, violenze ai danni di inermi, risse con altre gang, furti e punizioni corporali ai suoi drughi come se fossero un modo normale per passare il tempo e vincere la noia.

Racconta tutto questo mostrando, attraverso il suo linguaggio pieno di slang ma al contempo colto e intelligente, un’apparente innocenza e buona fede che rende il suo racconto oltremodo disturbante, come se fosse lui stesso la vittima che cerca empatia per le sofferenze a suo dire ingiuste a cui è sottoposto dopo aver oltrepassato il limite dell’impunità.

Incarcerato per l’omicidio di una vecchia signora e condannato a 14 anni di carcere, cerca d’uscirne ingraziandosi il cappellano della prigione, fin quando viene a sapere di una cura sperimentale che potrebbe farlo uscire subito dal carcere.

L’allucinante cura Ludovico, drastica e sbrigativa, grazie all’applicazione estrema della terapia dell’avversione rende Alex un inerme incapace anche solo d’immaginarsi mentre compie atti di violenza. All’apparenza, egli diviene un cittadino modello.

Ma la cura non cambia affatto il suo animo, anzi l’incatena e lo reprime, lo spoglia del libero arbitrio lasciandolo come un fantoccio inerme di fronte al mondo, fino a spingerlo a tentare il suicidio. Per quanto un individuo come Alex possa essere violento e diabolico, è giusto costringerlo ad andare contro alla sua natura, privarlo della possibilità di decidere delle sue azioni, del controllo su se stesso e dei suoi pensieri?

Il Male che corrompe: Dracula

«Voi, spero, mi scuserete se non mi unisco a voi, ma ho già cenato e non bevo mai… vino.»

Conte Dracula (Bram Stoker – Dracula)

Tra tutti gli archetipi di malvagi del gotico, il Conte Dracula è certamente il più famoso e rappresentativo. Egli è un vampiro, un non-morto assetato di sangue umano che gli permette di vivere in eterno, servo di Satana e incarnazione stessa del male di cui il demonio è capace.

La figura del Vampiro ha subito una lunga e travagliata evoluzione, fino ai giorni nostri in cui, vituperato fin nelle fondamenta, è ridotto a fantoccio per ragazzine in certi paranormal romance di dubbio gusto. Con il Dracula di Stoker siamo invece alle origini, al Vampiro puro: l’essere notturno che si trasforma in pipistrello e in lupo, che non si riflette negli specchi in quanto privo dell’anima, che teme croci, paletti, acqua santa e, sopra ogni cosa, la luce del Sole.

Se con Hyde e Alex abbiamo incontrato due uomini, che hanno un’idea ben precisa di cosa siano il male e la violenza, ma scelgono comunque e con coscienza di perseguirlo, per un vampiro come Dracula il Male è un atto ben diverso. Egli non ha un’anima né una coscienza e non conosce pietà, rimorso o qualsiasi altro sentimento umano. Il sangue non è una semplice ossessione, è il suo nutrimento: uccidere e dissanguare esseri umani è per lui naturale quanto per un leone è normale sbranare una gazzella. Il Vampiro si pone in cima alla catena alimentare, e Satana è stato molto accorto nel dotarlo di una non-anima da perfetto predatore.

«Vive al di fuori della grazia di Dio, vaga nelle tenebre più profonde, è un vampiro, “Nosferatu”. Queste creature non muoiono come l’ape dopo la prima puntura ma si rafforzano e diventano immortali una volta infettate da un altro Nosferatu. Quindi, amici miei, noi non stiamo combattendo una sola bestia ma intere legioni che passano di era in era nutrendosi del sangue degli esseri viventi.»

Van Helsing (Bram Stoker – Dracula)

Ma la caratteristica più affascinante del vampiro, oltre alla sua peculiare sessualità orale, è la sua capacità di convertire altre anime innocenti votandole a Satana per l’eternità.

Già agli inizi del romanzo di Stoker fanno la loro comparsa le sue tre stupende mogli, vampire come lui e capaci a stento di resistere alla sete di sangue, tanto che una delle tre tenterà da subito di aggredire Jonathan Harker, l’avvocato con cui si apre il romanzo e il primo a venire a contatto con Dracula nel suo castello in Transilvania. Egli è in cerca di terreni di caccia più fertili, per questo giunge a Londra dove morde e assoggetta la sua prima vittima: la bella e pura Lucy Westenra; i tentativi di Van Helsing per salvarla e sottrarla al vampiro si rivelano inutili ed ella muore, per resuscitare come vampira poco dopo e attaccare un gruppo di bambini nei pressi del cimitero. Van Helsing e gli amici di Lucy, a questo punto, non potranno far altro che distruggerla con un paletto conficcato nel cuore.

Dracula è dunque il Male che corrompe, che in qualsiasi momento potrebbe piegare altri al suo volere. Simbolo del potere subdolo del diavolo dal quale è possibile difendersi solo attraverso Cristo (il bene), a patto di essere sempre preparati ad affrontarlo.

Il Male assoluto: Pinhead

«Niente lacrime per favore; non si deve sprecare così la sofferenza.»

Pinhead – Hellraiser

Le opere fantastiche, e l’horror in particolare, vantano una lunga tradizione di “cattivi per eccellenza”: dal già citato Dracula al più recente Pennywise di King si possono trovare decine di fulgidi esempi di cattivi letterari.

Ma a volte è grazie al cinema se un personaggio nato in letteratura riesce a divenire un figura iconica e dar vita a un lungo elenco di film, romanzi, fumetti e opere derivate. Tra questi personaggi, una figura di spicco è certamente quella di Pinhead della serie di Hellraiser.

Nato dalla penna di Clive Barker, compare per la prima volta nel romanzo breve Schiavi dell’Inferno (The Hellbound Heart). Barker si è poi spostato dietro la macchina da presa, producendo il primo film (Hellraiser – non ci sono limiti) nel 1987. Da allora la serie si è espansa e ad oggi conta nove film, fumetti e vari racconti.

Ciò che rende Pinhead un cattivo così interessante è il distacco che ha rappresentato dai suoi predecessori, grazie ad alcune caratteristiche che lo rendono unico nella vasta iconografia dell’orrore moderno. In quegli anni la scena era dominata dagli slasher come Leatherface, Jason Voorhees o Micheal Myers: inarrestabili maniaci ritardati che, muti e sanguinari, s’aggirano facendo strage di innocenti capitati per caso e senza colpe nelle loro mani. A questo tipo di cattivo facevano da contraltare personaggi come un Freddy Krueger o Chucky, decisamente più ironici e dotati di un macabro senso dell’umorismo.

Pinhead, invece, è un qualcosa di diverso da entrambi. Egli è un vero demone, un’entità completamente votata al male ma, a differenza dei personaggi di cui si è trattato fino a questo momento, la sua vocazione non deriva da scelte più o meno coscienti, influenze ambientali, sessuali o affettive, o dalla semplice natura. Pinhead persegue il male per una sorta di devozione religiosa verso la Sofferenza.

Se il Male fosse una fede, Pinhead sarebbe il Papa e gli altri cenobiti i suoi cardinali.

L’arrivo di Pinhead, inoltre, ha una caratteristica unica: egli non attacca persone ignare, ma anzi viene chiamato dalle sue stesse vittime attraverso la soluzione di un puzzle (la Scatola, o Cubo di LeMerchant) che, per essere risolto, richiede un’invincibile quanto pericolosissima volontà di conoscenza.

Solo chi è animato da un fortissimo desiderio di sapere riesce a risolvere il cubo, e questa volontà rende spesso la vittima un non-innocente, fautore della sua stessa e dolorosissima rovina.

Una volta torturati e uccisi dai cenobiti, poi, le sofferenze sono solo all’inizio. Si viene fagocitati dalla dimensione parallela del Labirinto, in cui Pinhead avrà “tutta l’eternità per conoscere la tua carne”. Solo richiudendo la Scatola si riesce a scacciare i cenobiti e a farli tornare del loro mondo, in attesa che altri possano provare i loro servizi.

«Ti sembro forse un essere al quale interessa disquisire sulla carità di Dio?»

Pinhead – Hellraiser 4

Pinhead è, dunque, un fulgido quanto moderno esempio di male incarnato: un demone quasi onnipotente al servizio di un Dio del male e della sofferenza, devoto al suo scopo fino al fanatismo. Ma la cosa forse più inquietante di Pinhead è che egli stesso è stato umano.

Si chiamava Elliot Spencer, capitano durante la prima guerra mondiale, e quando aprì la Scatola il malvagio Dio di quella dimensione lo ritenne degno di divenire un potente Cenobita, piuttosto che una vittima come tutte le altre. Soffrì pene indicibili, ma alla fine la sua parte votata al male venne ampiamente ripagata dimostrando, ancora una volta, quanto il Male delle rappresentazioni fantastiche sia, in realtà, uno specchio di ciò che dimora in noi e che la nostra coscienza, per morale o per pietà, nasconde alla nostra ragione.

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