Grande cosa, l’horror gotico. Non mi stancherò mai di ripeterlo.
Nell’articolo precedente ho parlato di quel che è stato l’horror gotico italiano, e ho accennato al fatto che cotanta visionaria bellezza è stata possibile sull’onda del successo dei primi, indimenticabili film usciti dagli studi della Hammer Films, in particolare di Dracula del 1958.
Ma cosa ha dato alle produzioni Hammer l’importanza che effettivamente viene riconosciuta anche oggi da registi del calibro di John Carpenter e Tim Burton? La risposta è banale e complessa al tempo stesso: Era la metà degli anni cinquanta, e Hammer Films reinventava l’Horror.
Gli inizi
Hammer Films fu fondata nel 1934 da William Hinds, attore di teatro e uomo d’affari, e prese il nome dallo pseudonimo con cui Hinds era conosciuto: Will Hammer, per l’appunto. La prima sede della Hammer fu un piccolo ufficio all’Imperial House di Regent Street, Londra.
Le prime produzioni dello studio furono commedie tratte da romanzi radiofonici all’epoca popolari (radio drama), la prima delle quali fu The Public Life of Henry the Ninth del 1934, andato sfortunatamente perduto.
Tramite la controllata Exclusive Films, Hammer si diede da fare anche nel mercato della distribuzione, fino a quando non venne stroncata dal crollo dell’industria cinematografica britannica nel 1937. Sopravvisse solo la Exclusive Films, che continuò a distribuire film prodotti da altri. James Carreras e Anthony Hinds (figlio di William) entrarono nella compagnia nel 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale, e da quando dovettero partire per il fronte la compagnia si trovò a funzionare a servizio ridotto fino alla fine della guerra.
Era ormai il 1946 quando Anthony e James tornarono dalla guerra. James, deciso a risollevare le sorti della Hammer Films, convinse Anthony a tornare nella compagnia e la Hammer si dedicò ad alcune produzioni a basso costo con l’obiettivo di racimolare abbastanza fondi per una produzione di buon livello.
La nascita della Hammer Horror
Era il 1955 e, dopo aver spaziato tra vari generi, tra cui la prima fantascienza, Hammer produsse uno dei suoi lavori più famosi: l’horror science-fiction The Quatermass Xperiment di Val Guest, in cui Brian Donlevy interpreta Bernard Quatermass, uno scienziato che torna da un fallito lancio spaziale. Unico sopravvissuto dei tre occupanti della navetta, egli torna infettato da una forma di vita aliena che lentamente lo trasfigura in un alieno che minaccia di infettare l’intera umanità (vi ricorda niente?)
The Quartermass Xperiment, film X-rated (una classificazione britannica per adulti allora appena istituita e richiamata anche nel titolo), fu un successo inaspettato per la Hammer che portò alla realizzazione di altre due pellicole di successo: il sequel Quartermass 2 (1957) e X the Unknown (1956).
Fu la nascita della cosidetta “formula Hammer” e la strada, ormai, apparve più chiara.
The Curse of Frankenstein
The curse of Frankenstein was mind blowing to me, because it was one of the first horror films that took a subject, like the Frankenstein idea, and browd in from the time to shocking violence, shocking gore, shocking things.
John Carpenter
Nel segno di The Quartermass Xperiment, Hammer decise di puntare tutto sull’horror e, per il film successivo, decise di basarsi su un classico intramontabile: una nuova trasposizione di Frankenstein.
Hammer, però, non si interessò a produrre un remake dei classici degli anni ’30 e ’40 interpretati da Boris Karloff prima e Bela Lugosi poi. Hammer volle, o per meglio dire dovette, fare qualcosa di completamente nuovo.
A quel tempo Universal, infatti, deteneva il copyright praticamente su tutto ciò che riguardava il Frankenstein “classico” con Boris Karloff, dal make-up alle ambientazioni, e fece di tutto per impedire alla Hammer di duplicare qualsiasi aspetto del Frankenstein del 1931; se Hammer avesse realizzato un film basato sulla storia originale di Frankenstein e con ambientazioni simili, dunque, sarebbe sicuramente incappata in grossi problemi con la potente casa americana. Stando così le cose, Hammer si trovò praticamente costretta a innovare. Quanto al cast, all’epoca Peter Cushing era un noto attore del piccolo schermo inglese e fu direttamente scritturato dalla Hammer per il ruolo di Victor Frankenstein, mentre Christopher Lee fu scelto soprattutto in virtù della sua altezza (1,96 m), ma fu considerato anche l’ancor più alto Bernard Bresslaw.
Con un budget di 65.000 sterline cominciarono così, il 19 novembre 1956, le riprese di The Curse of Frankenstein.
Il truccatore Phil Leakey si diede un gran da fare per “ridisegnare” l’immagine della Creatura di Frankenstein, che rese completamente diversa (e molto più rivoltante) rispetto a quella Universal di Jack Pierce, mentre tanto altro lavoro fu fatto sulle ambientazioni: il castello di Frankenstein, e specialmente il suo laboratorio, sono completamente diversi e dal look molto più sinistro. Quanto alla sceneggiatura, curata da Jimmy Sangster, si scelse di porre l’accento più sul barone Frankenstein che sulla Creatura, seguendo il suo percorso fin dall’adolescenza e rendendolo molto più malvagio e cinico di quanto si fosse precedentemente visto. Dell’originale romanzo di Shelley, e del Frankenstein Universal, restò davvero poco.
Questo Frankenstein ha rappresentato un approccio all’Horror totalmente nuovo, la cui più grande innovazione fu l’uso del colore. Un particolare che oggi può apparire scontato, ma in effetti questo è stato il primo film horror britannico a essere girato a colori. Fisher e il suo direttore alla fotografia Jack Asher divennero quasi ossessionati dalle possibilità che offriva l’uso del colore, tanto da farne un ulteriore strumento per inquietare lo spettatore, con richiami anche ambientali al rosso del sangue, alla putrefazione della carne, in scene che ancora oggi denotano una maestria e una cura difficili da ravvisare in produzioni moderne. Memorabili le scene in cui la Creatura, vestita di nero e dalla pelle putrescente, incede con passo infermo in mezzo a una foresta cosparsa di foglie secche, o i primi piani in chiaroscuro notturno in cui appare non-umana, diversa, sbagliata con vette mai raggiunte in una rappresentazione di Frankenstein.
Stando tutto questo, il film debuttò al Pavilion di Londra il 2 maggio 1957 con lo scontato rating X e un buon numero di recensori pronti ad alzare gli scudi contro il cambiamento del cinema proposto da Hammer, ma nulla poté fermare né la Hammer, né il suo nuovo horror.
La resurrezione del Gotico
The Curse of Frankenstein fu un clamoroso successo: al botteghino incassò più di settanta volte il costo di produzione e segnò l’inizio della cosidetta “formula Hammer“, di un nuovo modo di intendere l’horror cinematografico. Fu anche l’inizio di una nuova vita per l’horror gotico, dopo l’età d’oro degli anni tra le due guerre mondiali, che come si è visto influenzò le produzioni europee e americane per gli anni a venire.
Ma la Hammer non si fermò per molto a godersi il successo del suo Frankenstein e, nel segno della continuità, si diede da fare per rivisitare quello che è probabilmente il più grande classico dell’horror Gotico (e dei classici Universal): Il Conte Dracula.
Dracula
Forte del successo ottenuto, Hammer volle ripetersi rivisitando un altro classico gotico reso famoso dalla Universal: Dracula, che la casa americana presentò nel 1931 per la regia di Tod Browning. Per far questo, Hammer affidò sempre a Terence Fisher (regia) e Jimmy Sangster (sceneggiatura) il “suo” Dracula, richiamando sul set anche i due attori protagonisti di The Curse of Frankenstein.
Peter Cushing vestì i panni di un Van Helsing ringiovanito, combattivo e più individualista rispetto a quello interpretato da Van Sloan nel Dracula di Universal, mentre il personaggio del Conte, che fu di Bela Lugosi, fu affidato a Cristopher Lee.
Il 17 novembre 1957, con un budget di 81.000 sterline, cominciavano le riprese del nuovo Dracula presso i Bray Studios.
Anche questa volta Fisher e Sangster scelsero di reinventare l’immagine del Dracula cinematografico, lavorando tanto sulle scenografie del castello quanto sul Conte stesso.
Quella della Hammer è un’interpretazione più “umana” e, dunque, meno soprannaturale. Il Vampiro di Lee non si trasforma in nebbia, lupo o pipistrello come quello narrato da Stocker, è più dinamico e sciolto nei movimenti e lo si vede muoversi rapidamente, muoversi agilmente, persino correre sulle scale del castello. Ma, soprattutto, è dominato da una sessualità animalesca e orale che viene qui per la prima volta esplicitata tanto che alcune scene, in particolare l’attacco notturno a Mina, furono censurate in alcuni paesi (tra cui ovviamente il nostro) e reintegrate solo in tempi recenti. Il Dracula interpretato da Lee è indubbiamente un vampiro che si differenzia molto dai suoi predecessori.
Ovviamente l’opera di Fisher e Sangster non si ferma a questa rielaborazione dei personaggi originali. La lunga e complessa trama di Stocker viene piegata, modificata, riscritta per un unico scopo: il ritmo serrato della storia. Della trama originale restano i momenti più crudi e salienti, magari riassociati a personaggi diversi; Jonathan Harker, per esempio, si reca al castello sapendo a cosa va incontro e rimane vittima di Dracula fin dalle prime battute; il Conte vampiro si sposta in città, che qui non dista più di un giorno di viaggio, non perché in cerca di migliori territori di caccia, ma come vendetta verso chi ha tentato di distruggerlo e lo ha privato della sua moglie-vampira. Il finale, inoltre, diviene una lotta vera e propria tra Van Helsing e Dracula piuttosto che un’esecuzione del vampiro inerme nella bara come nel romanzo di Stocker o nel film con Bela Lugosi.
Dracula venne lanciato l’8 maggio 1958 e riuscì a doppiare il successo di pubblico di The Curse of Frankenstein, ricevendo inoltre critiche molto positive da parte della stampa.
La Formula Hammer
When I was 11 or 12, and went with groups of friends to see certain films, if we saw the logo of Hammer Films we knew it was a certain kind of film. A surprising experience, usually… and shocking.
Martin Scorsese
Ecco dunque che, nel tempo di due soli film, Hammer riuscì a gettare le basi per l’horror moderno: una rappresentazione legata al ritmo e alla suspence, con un continuo susseguirsi di scene inquietanti e gore, alternate ad altre distese e tranquille, dissonanti, al puro scopo di giocare con la tensione dello spettatore.
A queste due pellicole ne seguirono innumerevoli altre che s’aggiunsero a un filone o rivisitarono altri classici del terrore: nel 1959 l’ormai collaudato quartetto formato da Fisher, Sangster, Cushing e Lee portò sullo schermo The Mummy, ispirato ai classici Universal The Mummy’s Hand e The Mummy’s Tomb, per poi proseguire con The Phantom of the Opera del 1962.
Fino alla fine
Nel corso degli anni Frankenstein, Dracula e la Mummia divennero icone della Hammer, veri e propri filoni che accumularono numerosi seguiti (Dracula, per esempio, conta ben otto sequel).
Era l’inizio dell’horror moderno e di una nuova era per l’horror gotico che dominò la scena per i due decenni successivi. Ma via via che passavano gli anni, le pellicole della Hammer perdevano lo smalto originario.
Come tutti i corsi artistici, anche l’horror gotico si saturò di prodotti che andavano dall’eccellenza di pochi alla mediocrità di molti, e Hammer fece sempre più fatica a proporre qualcosa di distintivo. Hammer doveva parte del suo successo al coraggio di rappresentare scene gore e all’erotismo, ma verso la fine degli anni ’60 faticava a tenere il passo di fronte ai cambiamenti che sarebbero esplosi di lì a poco: da un lato gli horror psicologici e a sfondo esoterico erano alle porte, dall’altro Romero coi suoi zombie spianava la strada allo splatter di massa. Il pubblico ormai chiedeva di più.
I film Hammer dovettero sporcarsi per inseguire i desideri del pubblico: con la Karnstein Trilogy dei primi anni settanta, vagamente ispirata a Carmilla di Le Fanu, rappresentò quelle che erano allora le più esplicite scene lesbiche del cinema inglese. I film Hammer si accodarono ai trend del cinema horror europeo dell’epoca, incamerarono elementi esoterici ed erotici con risultati che lasciarono freddi pubblico e critica. Cristopher Lee stesso si rifiutò d’impersonare Dracula dopo The Satanic Rites of Dracula del 1973.
Hammer ormai era diventata vecchia: incapace di tenere il passo, da avanguardista si fece inseguitrice, e alla fine venne lasciata indietro. Dopo qualche produzione minore e alcuni flop, nel 1979 cessò le produzioni e evitò di un soffio la bancarotta.
Titoli di coda
Il pubblico di oggi crede di aver visto di tutto e s’aspetta che tutto sia mostrato, tutto sia esplicito, che fino all’ultima goccia di sangue sia sbattuta sullo schermo. S’è persa però l’essenza stessa dell’horror che non era quella di prendere allo stomaco, ma nel cuore e nel cervello.
Riguardare oggi i film Hammer significa immergersi in un mondo di costumi e smarriti, di colori e luci e di paure ataviche ma sempre attuali. Furono concepiti per infrangere luoghi comuni, pudori, pulsioni e barriere mentali che tutti segretamente abbiamo, e precisamente per questo sanno ancora inquietare chi li guarda senza dover ricorrere alla volgare rappresentazione della violenza fine a se stessa.
Il 7 giugno 2015 veniva a mancare Cristopher Lee, uno degli autori più significativi del cinema horror di quegli anni, e sicuramente il più conosciuto ai nostri giorni. Magari sarebbe tempo di ricordarsi che non è stato solo Saruman, e nemmeno solo Dracula.
Un pensiero su “La rivoluzione di Hammer Films”