Il Fascino del Male – Parte uno

Il 24 ottobre 2014 sono stato invitato, assieme agli autori Giuseppe Pasquali e Valerio Marcello Pelligra, a un incontro dal titolo “Fantasy e Grottesco”, organizzato presso l’Università di Parma. Nell’occasione, Pelligra ha trattato la tematica dello sdoganamento della violenza tra teenagers in opere distopiche, Pasquali ha analizzato la figura dello zombie e il concetto di morte nella società post-industriale e io mi sono focalizzato sulla figura del Malvagio e delle sue diverse sfaccettature.

Nel mio intervento, spaziando dalla filosofia al genere fantastico, ho cercato di portare la mia visione del “Villain”, che qui ripropongo sotto forma di articolo diviso in tre parti:

  • In questa prima parte, “La filosofia del Male”, ho definito il Male in senso metafisico basandomi sulle definizioni che la filosofia, fin dagli albori, ha coniato per tentare di esprimerne il concetto.
  • Nella seconda parte, “Il fascino del Male”, a partire dalla definizione di Male a cui si è giunti nella prima parte, cercando di dare una risposta al perché la figura del malvagio affascina, spesso, più di quella dell’eroe che gli si oppone.
  • Nella terza e ultima parte, “Il Male nel fantastico, da Mr. Hyde a Pinhead”, analizzo quattro emblematiche figure di Malvagio nelle loro peculiarità, a riprova di quanto affermo nelle due parti precedenti.

Gli stessi articoli sono stati poi pubblicati in forma più accessibile sul sito MedeaOnLine. Qui li ripropongo in versione integrale.

La Filosofia del Male

Il Male: cerchiamo una definizione (metafisica)

Che il malvagio persegua il male è cosa nota, ma sapreste trovare una definizione esaustiva e soddisfacente di “Malvagità”? Come vedremo, questo è un argomento molto meno banale di quanto possa sembrare.

Cos’è il male? Una domanda semplice che, all’apparenza, ha una risposta semplice: il male è tutto ciò che è opposto al bene, ossia indesiderabile. Prima di parlare di malvagi è necessario trovare una definizione di “Male” meno superficiale e stereotipata di quella che si intende nel linguaggio comune, e che come vedremo si dimostra del tutto inadeguata.

«Ciò che ha potenza d’esser mosso o di agire in un determinato modo è buono; e ciò che ha potenza di essere mosso o di agire in un altro modo contrario al primo è cattivo».

Aristotele

Semplificando molto, pur nelle sue tante sfaccettature e interpretazioni, per tutta la tradizione classica che va da Aristotele a S. Agostino la definizione di “Male” si basa su un solo assioma: che il male sia antitesi dell’essere, e che quindi sia una forma di non-essere. Aristotele si spinge anche oltre: egli sostiene che la tendenza dell’universo in generale, e dell’animo umano in particolare, sia sempre volta al bene.

«C’è un solo bene: il sapere. E un solo male: l’ignoranza.»

Socrate

Il bene è dunque diretta conseguenza dal sapere dell’uomo, e il Male è il suo contrario: caos contrapposto all’ordine, ignoranza contrapposta a sapienza, istinto selvaggio contrapposto all’educazione e alla morale. È questa serie di considerazioni a rendere apparentemente semplice discriminare ciò che è buono, positivo, giusto, da ciò che è malvagio, non etico, ingiusto.

Ma è sempre Aristotele, nell’Etica a Nicomaco, a porsi un dilemma che considero fondamentale: egli sostiene che il Male sia un atto volontario, dunque se per l’uomo virtuoso l’oggetto della propria volontà è il bene, per il malvagio bene sarà invece il male.

Con questa considerazione Aristotele coglie un aspetto molto importante, ossia il fatto che il malvagio persegue un fine che egli ritiene giusto. Ciò che ha impedito al filosofo di approfondire l’argomento, probabilmente, risiede nella sua profonda convinzione dell’associazione tra Bene e Sapere, e pare anzi che il concetto stesso di una “sapienza del male” gli sia del tutto estraneo, quasi inconcepibile.

Per Aristotele e per tutta la filosofia antica sono la morale e l’etica innate, la nostra coscienza individuale e come collettività a dirci a priori cos’è giusto e cos’è sbagliato; potremmo azzardarci a dire che il tutto si riduce a una mera questione di cuore e stomaco, e dato questo per assodato il loro studio si è sempre concentrato su altri aspetto: da cosa il Male nasce e in che misura un malvagio è responsabile delle sue azioni nefaste (si vedano il Mito di Er e il Vecchio Testamento).

«Quasi tutto ciò che si addomanda intemperanza in piaceri e che si vitupera negli uomini come se malvagi egli fossero di volontà loro, non si vitupera a ragione; imperocché malvagio niuno è di volontà sua, ma sibbene malvagio è il malvagio per alcuno laido abito del corpo e per allevamento salvatico, le quali cose inimiche sono a ognuno, e gl’incolgono contro sua voglia.»

Platone, Timeo

La visione Aristotelica e Agostiniana di un Male come pura colpa personale, però, è messa in discussione secoli più tardi dall’illuminismo, forte di forza intellettuale tale da scalzare anche concetti tanto radicati. Per esempio Kant, ne Religione nei limiti della semplice ragione, sostiene un concetto esattamente contrario a quello aristotelico, secondo il quale esiste un’inclinazione congenita e istintiva volta al male, che egli definisce male radicale: un qualcosa che non può essere eliminato in quanto radicato nell’esistenza stessa dell’uomo. Questa inclinazione è ciò che spinge l’essere umano, razionalmente cosciente dell’esistenza del Bene, a perseguire irrazionalmente il Male. La discussione verte dunque sul libero arbitrio, e sulla possibilità stessa che l’ambiguità della realtà sia tale che il bene stesso possa generare male.

Ma anche l’illuminismo pecca dove peccavano i filosofi greci: pur annoverando grandi progressi, non è stato in grado di definire, una volta per tutte, cosa il male effettivamente sia.

Una visione nuova e diversa, slegata da concetti morali e religiosi, arriva ancora più tardi con Nietzsche. In una delle sue opere più mature, Al di là del bene e del male, egli critica aspramente il dogmatismo di tutti i filosofi precedenti, accusandoli di cieco pregiudizio morale slegato dalla realtà. Con una disanima che sfocia nella psicanalisi, Nietzsche smonta i lavori dei suoi predecessori relegandoli a mera giustificazione dei loro pregiudizi personali ribattezzati “Verità”, ovvero fulgido esempio della volontà di potenza applicata alla filosofia e ai filosofi. Per Nietzsche il Male e il Bene classicamente intesi non esistono, in quanto termini astratti per definire espressioni dell’unica forza che anima l’essere umano: la volontà di potenza, attraverso la quale tutto ciò che ci è stato trasmesso attraverso il mito, la religione, la credenza e ogni altra sorta di morale si rivela una menzogna, un’illusione, una superstizione.

Il Male non è, dunque, ciò che è indesiderabile, e non è nemmeno possibile inquadrarlo entro precetti morali o etici a livello oggettivo e assiomatico. Il Male è semplicemente l’espressione violenta della volontà di potenza di altri che prevarica la nostra, sia essa espressa come affettiva, etica, o di semplice interesse.

Nella prossima parte, vedremo come può questa definizione ci tornerà utile per rispondere a una domanda ancora più insidiosa: Perché il male ci affascina?

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