Iniziare un blog come questo parlando di qualcosa legato agli Usher mi sembrava doveroso. Dal racconto di Poe sono state tratte svariate opere cinematografiche e l’adattamento più conosciuto resta quello del 1960 con Vincent Price, ma mi riservo di parlarne in futuro. Certo mi rendo conto che il cinema muto sia un argomento ostico e, forse, il peggiore con cui cominciare, eppure voglio partire proprio da questo capolavoro dell’espressionismo francese, di cui peraltro ho usato alcuni fotogrammi nell’articolo di presentazione del blog. Avrei potuto iniziare da qualcosa di meno impegnativo… ma in queste cose non amo i compromessi.
La chute de la Maison Usher è un film francese del 1928 scritto e diretto da Jean Epstein, col contributo non marginale alla sceneggiatura di un ventottenne Luis Buñuel (che avrà tempo per diventare famoso).
Il film parte con un uomo baffuto e carico di valigie che, arrancando nel fango, giunge in una locanda dove rilegge una lettera di Lord Roderick Usher, suo amico, che lo invita nella sua casa perché preoccupato per la salute della moglie (Lady Madeleine). Il viaggiatore riesce con fatica a convincere un avventore a condurlo col suo carro fino in prossimità della lugubre dimora, che dovrà però raggiungere a piedi per il rifiuto del cocchiere di proseguire.
Entrato nel castello, egli viene calorosamente accolto da un pallido e allucinato Roderick, che però riprende quasi subito a dipingere il ritratto di sua moglie Madeleine, attività che vive come una vera ossessione. Mentre i giorni passano, mano a mano che il quadro viene completato, Lady Madeleine deperisce sempre più vistosamente fino a quando, a tela ultimata, s’accascia al suolo e il volto dipinto, per un istante, par sbattere le palpebre come se avesse preso la vita di Madeleine.
Il corpo di Lady Madeleine viene vestito da sposa e posto in una bara bianca, sotto lo sguardo attonito di Roderick che non riesce ad accettare la morte della moglie, e la crede ancora viva. Segue un mesto funerale senza omaggi al termine del quale la bara viene trasportata in una cripta.
Qualche tempo dopo però, durante un forte temporale, la bara si rovescia mentre nel castello, sferzato dal forte vento, le candele provocano un incendio che distrugge il quadro che ritrae Madeleine. Negli stessi momenti ella esce dalla bara e s’incammina, spettrale e agghiacciante nel suo abito da sposa, verso la casa in fiamme.
Madeleine raggiunge dunque la casa barcollando tra le fiamme, apparendo come un fantasma a Roderick e al suo amico, che riescono infine a mettersi in salvo con lei dalla casa che, nell’ultima inquadratura, sprofonda nella palude.
La sceneggiatura, chiaramente, innesta sul soggetto originale del racconto “La rovina della casa degli Usher” diversi elementi di altri racconti di Poe, in particolare di “Il ritratto ovale“, ma anche “Ligeia” fa capolino in diversi passaggi, pure richiamata da un’iscrizione su una lapide in qualche fotogramma iniziale. Benché non molto fedele al racconto originale, comunque, i diversi elementi si amalgamano alla perfezione in una trama che, benché non particolarmente complessa, non può non intrigare. Per quanto riguarda il racconto principale, sono da notare due importanti concessioni ai costumi e ai tabù dell’epoca in cui il film è stato girato: il rapporto tra Roderick e Madeleine (marito e moglie nel film, fratelli nel racconto di Poe), che è stato modificato per non dar adito a sospetti di incesto, e il finale (nel racconto di Poe l’unico a salvarsi è l’amico degli Usher), più apprezzato dal gusto di allora.
In preparazione di un film dal Poe, l’obiettivo primario è quello di mettere insieme (non senza difficoltà) una tecnica immensa e singolare. Avendo raggiunto questo, e con le immagini a disposizione per dare senso, si può vedere che, così come per Poe, oggi la tecnica può giacere quasi completamente tra le immagini.
Jean Epstein
Quel che Epstein volle suggerire è che, quando si affronta Poe, non è sufficiente trasporre il racconto sullo schermo, ma bisogna usare le immagini come una forza creativa. L’uso incoerente dello spazio e le vaghe relazioni spaziali tra i personaggi, o persino le stanze dove si svolge la scena, non sono una svista ma il frutto di una precisa volontà, che suggerisce il distaccamento dal reale tipico dei sogni e dei loro paradossi che, però, agli occhi di chi sogna mantengono sempre una coerenza.
Vale la pena, a questo proposito, fare un raffronto con un altro film: “The Fall of the House of Usher” (1928, di James S. Watson), presentato lo stesso anno e ispirato allo stesso racconto, ma profondamente diverso nella realizzazione tipicamente avant-garde, che mostra scenografie non-euclidee, prismi e scritte in sovrimpressione come il capolavoro “Il gabinetto del dottor Caligari” di Robert Wiene. Stuzzicato sullo stesso tema, Epstein dimostra la sua predilezione verso la scuola del cinema russo e dell’espressionismo tedesco. Il francese sceglie un uso frequente di rallenti (al tempo un effetto di assoluta avanguardia) che, per esempio, dilatano il tempo della caduta (e morte apparente) di Madeline rendendolo ancora più angosciante, aggiunge sovrimpressioni di candele (uno dei temi ricorrenti del film) che accompagnano come spiriti un funerale altrimenti solitario, offre spesso primi piani e inquadrature fuori asse. Con questo e con un montaggio secco, fatto di alternanze tra primi piani e campi totali, Epstein riesce così a suscitare emozioni di inquietudine, ansia e un senso di fatalismo incombente che non conosce pari in altre opere ispirate agli Usher di Poe, nemmeno nella corta e curata pellicola di James S. Watson, che resta comunque uno dei migliori esempi del cinema sperimentale americano di quegli anni, o nelle famose interpretazioni degli anni ’60 di Roger Corman e Vincent Price.
A questo punto, però aggiungo una nota più personale. Dimenticando tutto il resto, c’è un aspetto per cui questo film merita di essere visto, ossia la fotografia: tramite l’utilizzo di particolari diaframmi e di un’illuminazione studiata nei minimi dettagli, il modo che ha la luce di infrangersi e di diventare un’aura spettrale attorno agli oggetti luminosi, come finestre e candele, ma soprattutto attorno ai volti dei protagonisti e a Madeline “risorta” e vestita di bianco, riescono a regalare un’aura spettrale e da incubo che non ha pari e che, soprattutto, ricalca già da sola tutto lo spirito di Poe.
In definitiva, pur presentando alcuni difetti, su tutti la lunghezza di alcune parti e il finale troppo positivo, La Chute de la Maison Usher è e resta, semplicemente, il miglior modo possibile per girare un film ispirato all’opera di Poe e forse, a oggi, una delle migliori realizzazioni in assoluto per quel che riguarda il cinema gotico ed espressionista. Jean Epstein ha capito realmente lo scrittore di Boston e in quest’opera riesce a omaggiare al meglio tutta la sua potenza evocativa: Da una parte il tormento dell’animo umano, la sua volontà autodistruttiva e masochista, l’ossessione e la monomania, il disturbo mentale sia indotto che ereditario; dall’altra il senso d’alienazione dalla realtà consolidata del mondo, d’isolamento psicologico e fisico, oltre alla costante, assillante sensazione di una presenza oltre umana che sovrasta l’uomo e lo conduce al suo inevitabile, nefasto destino.
Ho trovato l’articolo davvero molto interessante, mi piace come hai descritto le tecniche utilizzate dal regista per poter dare uno spessore alla pellicola, oltre che a rendere omaggio al racconto, che per altro essendo carico di descrizioni doveva essere girato in modo da dare risalto a quel tipo di dettagli. Se posso permettermi di farti una piccola critica hai spoilerato forse un po’ troppa trama (per non dire tutta) e io se fossi in te creerei più suspance giusto per dire “arrivo fino a qui, se vi ispira guardatevelo/leggetevelo”. Ad ogni modo aspetto con ansia articoli su Price in “La maschera della morte rossa” che nella versione cinematografica se non ricordo male uniscono due racconti (potrei dire un’immensa cazzata ma può essere Re Peste?) .. Anyway.. mi piacciono molto Lovecraft e Poe e per altro è da parecchio che non mi rileggo un bel libro di Poe con i suoi racconti.. e mi hai fatto venire voglia di riprendeli in mano! Continua così Davide!
Ciao Fil, ti ringrazio e mi fa piacere che qualcuno apprezzi lo sforzo 🙂 quanto all’aver raccontato tutta la trama, il dubbio è venuto anche a me. Ho pensato di scriverlo così per due ragioni: primo, non stiamo parlando dell’ultima puntata di una serie tv, ma di un film vecchio di novant’anni basato su un racconto vecchio quasi duecento. Così come tutti sanno (o dovrebbero sapere) come finisce Romeo e Giulietta, così il racconto di Poe è cosa nota. Parlare del finale di opere così vecchie credo che non tolga nulla al fascino che ha rileggerle o vederle rappresentato a teatro o sullo schermo. Secondo, era importante parlare del finale perché è la più grande differenza tra il racconto e il film, oltre che l’unica nota non proprio positiva (a mio avviso) dell’opera di Epstein.
Comunque, quando parlerò di opere con sceneggiatura originale, non scriverò così 🙂
Ah ok, se era cosa voluta allora non dico nulla 🙂 comunque, altro dettaglio, posso dire che per mia ignoranza non ho mai visto il film però ho letto il racconto e da come me lo hai descritto mi hai davvero trasmesso molta curiosità, quindi me lo andrò a cercare sperando di trovarlo. Avanzerei anche una proposta.. che ne dici di una lista con i film da guardare? Potrebbe essere un’idea aggiungere un elemento alla lista mano a mano che scrivi una recensione, per esempio quando arrivi a farne una decina potrebbe forse avere più un senso questa cosa. Che ne pensi?